I lettori sconfinati che hanno partecipato al primo incontro del gruppo di lettura lo scorso 30 aprile hanno votato il libro da leggere insieme e, dopo un serrato testa a testa, l’ha spuntata Lunamadre di Teo Benedetti, Pelledoca.
Una storia che nasce dai racconti che popolano le campagne dell’entroterra sardo di creature del Bene e del Male, dalle tradizioni e dalle maledizioni, dal fascino di una cultura antica che affonda le sue radici nella memoria, nella storia degli uomini e delle donne, della natura. Colori, sensazioni, tradizioni e un brivido che corre lungo la schiena dalla prima all’ultima pagina.
Nel prossimo incontro, gli Sconfinati, si riuniranno per parlare della loro storia di lettura e non saranno soli: insieme a loro ci saranno anche i lettori riuniti intorno ad altre due librerie che avranno letto lo stesso libro (qui è dove ti spieghiamo come funziona Sconfinamenti). Parleranno del libro che hanno letto in totale libertà, ogni opinione sarà accolta con degna di attenzione, senza rischio di smentita, di rifiuto o di scarso apprezzamento. Se poi qualcuno dirà: “questo è il peggior libro che abbia mai letto” deve avere la certezza che la sua osservazione otterrà la giusta attenzione e il giusto rispetto. Il valore di un gruppo di lettura sta nel tempo che dedichiamo ai ragazzi per farli parlare dei loro libri e questo li stimola a leggere ancora di più.
Lunamadre
È la storia di Lorenzo che nelle prime ore del pomeriggio di una calda e afosa giornata estiva è appena arrivato nell’Isola che lo accoglie ogni anno per le vacanze. Una terra che per lui è casa, è ritorno più che arrivo. Una casa che odora di lentischio, corbezzolo, legno di ulivi cotto al sole, erba secca e una punta di letame fresco. Un ritrovarsi che sa di amore trattenuto e custodito a lungo e che si sprigiona nell’abbraccio con la nonna: una stretta dolce e forte al tempo stesso, di quelle che si tengono da parte per i cari che non si vedono da tempo. Uno scudo di protezione.
Siamo a Lunamadre: un paese circondato dalla campagna, in un’isola, un piccolo punto sulla mappa stradale, uno di quei paesi che i viaggiatori non scelgono per fermarsi, ma che se decidono di farlo ricorderebbero il calore dell’asfalto, i riflessi del marmo bianco sul selciato della chiesa, gli anziani seduti all’ombra fuori dal bar vittoria o in cerchio sulle panchine sotto gli alberi, le donne con i bambini appresso che vanno e vengono nei vicoli tra botteghe e case di pietra.
L’incontro con la strega
Ed ecco che però arriva un elemento di rottura di questo equilibrio: il cane Lucifero non sta molto bene. A dirlo è la nonna che indica a Lorenzo dove potrebbe trovarlo: nella sua cuccia nel capanno.
Lorenzo va a cercarlo, ma mentre si avvicina al capanno nota che l’odore è cambiato. L’odore della campagna, del lentischio, del corbezzolo, del legno di ulivi cotto al sole, dell’erba secca, adesso invece è un odore che sa di marcio: un misto di latte scaduto, patate lasciate sotto il sole, qualcosa di zuccheroso e particolarmente pungente. È irrespirabile e nauseabondo.
Lorenzo cammina verso il capanno, è buio e avanza a tentoni cercando Lucifero. Finché lo trova.
Il corpo di Lucifero non è un bello spettacolo: ferite sanguinanti infestate da mosche e moscerini, la lingua penzoloni, gli occhi annacquati. Lorenzo non riesce a trattenere le lacrime e gli inginocchia vicino.
All’improvviso però il cane lo fissa piantando gli occhi dentro quelli di Lorenzo e poi una voce: “Te la stai facendo sotto, eh? Puoi stare tranquillo: il tuo momento non è ancora arrivato. Ci rivedremo molto presto e allora regoleremo i conti. Questo è solo l’inizio!”
Questa ultima frase arriva nella testa di Lorenzo con il tono di un urlo acuto e perforante, un grido disperato. Il cane tossisce, poi esala l’ultimo respiro: grumi di sangue e catarro gli escono dalle fauci.
Lorenzo fissa a lungo il cadavere di Lucifero e poi il grumo sputato: c’è qualcosa che si muoveva in mezzo a quella roba. Era qualcosa di bianco, minuscolo e stava strisciando fuori: erano vermi, vermi bianchi.
Il potere dell’amicizia
Lorenzo non se la sente di raccontare quello che gli è successo ai suoi amici Carlo, Filippo e Maria, si sentiva spento, svuotato di ogni energia. La morte di Lucifero, però, non è l’unica della giornata: sette capi di ogni gregge di pastore sono morti, una pila di pecore stecchite.
Sta succedendo qualcosa di strano e in paese si comincia a parlare di Lei, di qualcosa che era accaduto tempo fa e stava tornando. C’è una strega a Lunamadre? C’è stata, centosette anni fa per la precisione.
Sono storie per bambini che mettono solo paura, non c’è niente di vero. O forse sì. Carlo, Filippo e Maria vorrebbero saperne di più, ma gli adulti sono ben attenti a parlare sottovoce, pronunciando frasi a mezza bocca e in dialetto stretto. Una lingua quasi inaccessibile che custodisce storie che a volte è meglio non raccontare.
Le storie da raccontare
Ogni piccolo paese ha le sue storie, i suoi personaggi, i suoi canti. Sono comunità vive. Ciascuna delle quali ha sua storia da raccontare, cantare e dipingere.
Il canto a tenore è un’espressione di quattro persone: la voce del solista canta il testo di una poesia, gli dà una melodia, un’interpretazione personale, una nota caratteristica. Gli altri rispondono cantando un accordo.
La poesia è bella da cantare, ma il tenore la dipinge. È cantare, ma anche raccontare.