Il ruolo della letteratura nordica nei libri per l’infanzia
La nostra libreria ha un cuore nordico e il sapore della montagna, profuma di legno e si respira un’atmosfera di bosco incantato. Ma il nostro amore per il grande nord non si limita alle montagne, alle malghe, alla neve, alle girandole alla cannella, ai Brezeln e alle casette colorate.
È meglio se i bambini piccoli vivono una vita ordinata. Soprattutto se possono ordinarla loro stessi.
Pippi Calzelunghe, A. Lindgren
La letteratura nordica ha avuto da sempre un ruolo d’avanguardia nella letteratura per l’infanzia, combattendo stereotipi, promuovendo un modello educativo e genitoriale in cui le relazioni tra adulti e bambini sono basate sull’empatia e sul rispetto, valorizzando le diversità e le unicità di ciascuno e infrangendo tabù, ma senza mai perdere di vista il rispetto per i bambini.
Sai che il nome “Lotta” l’abbiamo scelto proprio per il coraggio e l’intraprendenza della piccola Lotta Combinaguai? Un personaggio femminile, come Pippi Calzelunghe, nato dalla creatività di Astrid Lindgren e, come lei forte e intraprendente, ma che, rispetto a quest’ultima, non è sola. Lotta è circondata da adulti che hanno fiducia nelle sue capacità e la lasciano libera di imparare a fare da sola e di esprimere le proprie capacità.
Noi vogliamo essere quegli adulti che attraverso le letture, i laboratori e gli incontri in libreria incitano i bambini e le bambine a compiere scelte, fare esperienze, coltivare sogni e ambizioni. Per questo abbiamo bisogno di buoni libri e case editrici coraggiose.
Come si “scova” un buon libro
Grazie a Iperborea, che dal 1987 fa conoscere in Italia la letteratura nord-europea, abbiamo avuto la possibilità di conoscere ed intervistare Laura Cangemi, traduttrice e punto di riferimento per la traduzione dei libri per bambini e ragazzi dalle lingue scandinave, ma anche costantemente impegnata nell’attività di scouting. Le abbiamo rivolto alcune domande e con grande disponibilità e cordialità ci ha risposto.
Come si scova un buon libro? Quali caratteristiche deve avere per proporlo a una casa editrice per essere tradotto e pubblicato?
Prima di tutto, grazie per le vostre belle parole e per l’opportunità di quest’intervista. Ormai sono quasi trentacinque anni che traduco, e la mia carriera è cominciata proprio scovando per caso un’autrice per ragazzi, proposta a me e ai miei compagni dal lettore di svedese della Statale di Milano, dove studiavo lingue.
Conoscevo già bene lo svedese, avendo trascorso vicino a Stoccolma il quarto anno di liceo grazie a Intercultura, e mi ero appassionata ad Astrid Lindgren, ma Maria Gripe era per me una novità. Dopo aver letto quel primo libro ne comprai altri della stessa autrice e, appena laureata, decisi di proporre due suoi titoli a varie case editrici. Un paio d’anni dopo Mondadori acquisì i diritti dei Figli del mastro vetraio e la direttrice editoriale (che ricordava la mia lettera) me ne affidò la traduzione. Non ho mai dimenticato la felicità che provai quando mi telefonò per dirmi che la mia prova l’aveva convinta e che mi avrebbe volentieri dato da tradurre anche altri titoli, sia dallo svedese che dall’inglese.
In generale posso dire che, nel proporre libri alle diverse case editrici con cui collaboro, sono molto cauta. La lettura deve avermi convinto fino in fondo, e se dei difetti ci sono devono comunque essere controbilanciati da grandissimi pregi. L’originalità è fondamentale, per me, così come l’autenticità dei personaggi e dei dialoghi. Se c’è un pizzico di ironia, ancora meglio, e il massimo è quando (come in molti libri di Ulf Stark) si sposa con quella che oserei definire poesia.
Di solito se un libro mi piace me ne accorgo prima di arrivare a metà. Poi ovviamente lo leggo fino in fondo, per vedere se “regge”, se il ritmo tiene e se la fine non delude, ma mi è capitato di telefonare a un editor e raccomandare l’acquisto dei diritti senza nemmeno aver completato la lettura (solo una volta, a dire la verità, ma credo di non aver sbagliato). Sono anche molto consapevole dei limiti imposti dai miei gusti: per esempio non amo i fantasy, e di conseguenza evito di lanciarmi in proposte nell’ambito di un genere che non mi è congeniale.
Animali che nessuno ha visto tranne noi: come tradurre un albo in rima popolato da animali immaginari
Hai collaborato con la casa editrice Iperborea sin dall’inizio della sua fondazione, hai conosciuto molti autori scandinavi e hai potuto coltivare un rapporto di amicizia con lo scrittore Ulf Stark, ma lavorare alla traduzione dell’albo illustrato “Animali che nessuno ha visto tranne noi” non deve essere stato facile: si parla di animali immaginari, vere e proprie personificazioni delle difficoltà che ognuno di noi incontra ogni giorno nello stare al mondo, ma l’ironia, a tratti amara, crea un’atmosfera giocosa.
Quali sono stati i passaggi, se ci sono stati, che sono stati per te più complessi da affrontare? Seppure nel rispetto doveroso delle intenzioni autorali, quale processo creativo hai seguito per la scelta dei nomi degli animali? Quanto ha contato la musicalità nella scelta delle parole giuste? Noi ci siamo chieste come avrebbero potuto suonare questi animali e così abbiamo realizzato una lettura sonora, che ne pensi?
Aver conosciuto Ulf mi è stato molto utile, mentre traducevo Animali che nessuno ha visto tranne noi. Certo, il massimo sarebbe stato poterlo contattare (come mi è capitato in passato traducendo altri suoi libri) per parlare con lui del processo mentale che lo aveva portato a scegliere un nome o una rima, ma mentre lavoravo sentivo risuonare la sua voce nella testa e immaginavo la sua risata, e a volte bastava questo a sbloccarmi dal punto in cui mi ero arenata.
Ho impiegato diversi mesi a tradurre il libro, ovviamente lavorando anche ad altre traduzioni. Tradurre versi in rima è sempre complicato e quando lo faccio ho bisogno di tempi lunghi per rimaneggiare e sistemare la prima versione a intervalli regolari, con il giusto distacco.
Per alcuni degli animali di Ulf e Linda credo di aver fatto almeno dodici o tredici stesure diverse, costretta com’ero a conciliare contenuto, ritmo, musicalità, rime e illustrazioni (che possono essere un aiuto ma a volte impongono anche dei limiti). Ho anche avuto qualche scambio sia con Janina Orlov, moglie di Ulf e bravissima traduttrice, che con Linda Bondestam, soprattutto per capire se dietro la scelta del nome della Quinella c’era un ragionamento particolare (non c’era, a quanto mi hanno risposto, e di conseguenza ho scelto una “traduzione” che in pratica è un calco dell’originale). Quello del Lumarone è stato forse il più difficile da trovare (l’abbiamo cambiato, d’accordo con la redazione, quando il libro stava per andare in stampa), però ora ne sono molto soddisfatta. Nel tradurre in versi la musicalità è, naturalmente, la preoccupazione principale, e la rima sotto questo aspetto conta molto.
Ho cercato di riprodurre il più possibile il ritmo che percepivo io nell’originale, ma ovviamente è qualcosa di molto soggettivo. Spero di esserci riuscita. Di sicuro ho fatto del mio meglio. E mi sono anche piaciute le letture sonore che avete realizzato, in particolare quella del Bumbumbo!
L’esperienza di traduzione in Lotta (e la quasi parolaccia!)
In Lotta Combinaguai, ci sono i vezzeggiativi con cui il papà chiama i suoi bambini (Fracassone, Fracassina a Frastornina), Orso, che è un grosso maiale di pezza, ma Lotta è convinta che sia un orso e per questo lo chiama Orso e così è un “maialorso”, il gergo tipico dei bambini mentre giocano con le storpiature dei vocaboli più complessi, le canzoncine e le filastrocche (il racconto “Lotta ha una giornata scalcagnata” è incredibilmente divertente). Quali sono i criteri che hanno guidato le tue scelte?
Quando si tratta di rendere giochi di parole, soprannomi, filastrocche, battute, storpiature, nomi parlanti e così via, il criterio principale a cui mi ispiro, in generale ma soprattutto traducendo libri per ragazzi, è cercare di ricreare per i lettori italiani l’effetto che l’originale ha sui lettori svedesi, nel massimo rispetto dello spirito del testo di partenza. Detto così sembra abbastanza semplice, ma a volte è difficilissimo raggiungere un risultato soddisfacente.
Nel caso di Lotta, già il suo “pseudocognome” Combinaguai doveva fare rima con il nome della strada in cui vive la famiglia, “via dei Vasai”. Ora che è Lotta Combinaguai per tutti, suona naturale e scontato, ma ci ho messo un po’ a trovare la soluzione. Il nodo più difficile era però quello della “quasi parolaccia” che Lotta dice spesso, suscitando i rimproveri della mamma. Doveva avere un nesso con la Bibbia perché salta fuori quando la nonna gliene legge un passo (nell’originale c’entra un faraone, io ho fatto ricorso al sogno delle vacche grasse e delle vacche magre), non doveva essere una vera imprecazione ma quasi, e infine bisognava fare in modo che fosse storpiabile per applicarla al cognome della signora che aiuta la mamma di Lotta a fare le pulizie.
Ho dovuto fare i salti mortali per arrivare a “’orca vacca”, che diventa “’orca Wackström”, però dalle risposte di diversi bambini che hanno letto i libri ho capito che l’effetto prodotto dalle mie soluzioni è quello giusto, e sono sicura che Astrid Lindgren mi ha perdonato, da lassù, per aver cambiato il cognome della signora Fransson, con l’accortezza di dargliene un altro ma sempre svedese. Lei teneva tantissimo alle traduzioni dei suoi libri, e leggere le lettere che aveva scritto ad alcune delle sue traduttrici mi è stato molto utile per capire come procedere nelle mie decisioni. Mi auguro di poter continuare a tradurre (o ritradurre) i suoi libri, davvero ricchissimi e pieni di fascino e gusto del racconto.
Di recente è uscita la mia nuova versione del primo dei tre libri che hanno come protagonista Emil, il mio personaggio lindgreniano preferito in assoluto, e spero di poter presto ritradurre anche gli altri due.
La mia vita dorata da re
Oltre a Emil, Laura Cangemi si è occupata recentemente anche della traduzione della nuova uscita Iperborea La mia vita dorata da re di Jenny Jägerfeld che abbiamo potuto leggere il libro in anteprima nell’ambito del gruppo di lettura sconfinamenti, e abbiamo amato tantissimo.
Sigge è un moderno antieroe nel quale ognuno di noi, alle prese con la rincorsa alle aspettative sociali e la continua ricerca dell’accettazione e del consenso (a qualsiasi età), può immedesimarsi. Charlotte, la nonna, con le sue paillettes e la sigarette in mano (ricorda tanto Zia Yetta del telefilm anni novanta “La tata”) così forte e incurante del giudizio altrui. Hannah, la mamma di Sigge, che non ha paura di condividere con i suoi figli le proprie fragilità, di ammettere i propri errori, che non giudica e non spinge i figli a essere qualcun altro. E poi l’ironia e la semplicità con cui vengono affrontati i temi più delicati dell’adolescenza, davvero una lettura fresca e che ti lascia la sensazione di una pacca sulla spalla!
Se vuoi conoscere Sigge qui ne parliamo meglio e c’è anche l’autrice, Jenny Jägerfeld, che presenta con un videomessaggio il suo libro ai lettori italiani, circondata da un manto di neve e meravigliose casette rosse di legno.