Per il primo festival della lettura e della letteratura 9 da leggere, abbiamo scelto di leggere Il Grande Albero di Case Basse, una vera e propria avventura urbana che invita i bambini e le bambine ad essere protagonisti del paesaggio urbano, a dare valore, attraverso un sentimento di appartenenza e radicamento, ai luoghi che si abitano trasformandoli in uno spazio vissuto. Una favola ecologista che sottolinea l’importanza della cura e della condivisione, di come, pur parlando lingue diverse, cantando canzoni diverse, ballando ritmi diversi, l’umanità sia fatta di cultura e ancorata alla terra e all’ambiente da radici universali.
Ora… le giornate sono certe volte storte e certe volte dritte.
E che dire delle giornate così belle che proprio non hai niente da dire, perché sono proprio belle e tutto va come deve andare?
Quelle capitano.
Ecco, la storia comincia in un giorno così.
In un giorno che tutto va come deve andare.
Spiazzante. Non siamo abituati a leggere un libro in cui le cose vanno così per il verso giusto.
Ed infatti, il primo capitolo inizia raccontando che il cortile, lì a Case Basse, era una bellezza, quel pomeriggio. Sofia, Suleiman e gli altri correvano, ridevano e del sudore non gliene importava. Ma si tratta del giorno prima. Prima di cosa?
Il Grande Albero era in mezzo al prato, appena fuori dal cancello. Solo un albero e poi niente. Un albero. Grande. Vecchio. Stava lì non si sa da quanto. Stava lì da prima che si costruissero i palazzi. Un tempo che se lo volevi contare non sarebbero bastate tutte le dita di tutte le mani dei bambini e delle bambine.
Il giorno prima dicevamo. C’era stato all’improvviso un rumore confuso e forte che sembrava strappare le orecchie. Clang, sbom, clang, roooommm…
Erano Loro. Visti da lontano sembravano formiche. Abiti neri, cravatte nere, auto scure. Erano pochi, ma facevano paura, perché se ne stavano vicini come in un nodo stretto e poi s’allargavano come le punte di una stella e guardavano intorno, indicavano le case, il cortile. E il Grande Albero. Prendevano certi fogli grandi e con la penna facevano dei segni. Intorno a loro il prato restava verde ma altri uomini, con le scarpe impolverate e i martelli in mano, trasportavano a braccia grandi rulli colorati di arancio. Una rete, sembrava. E una rete era, in effetti. Solo che non serviva per prendere i pesci e gli squali, ma per chiudere il prato. E il Grande Albero.
L’amore per l’ambiente è una lingua universale
Tutti, ma proprio tutti quelli che abitavano a Case Base corsero giù per le scale, fino al cortile, fino al cancello.
C’erano mama Miriam, che faceva treccine africane a chi le voleva raccontando di serpenti giganteschi e villaggi addormentati sotto la luna, e papa Aimé, che nel suo paese faceva l’ingegnere ma qui vendeva libri “d’Affrica” in giro per la città. C’era Maria-vecchia, che abitava dentro una casetta che bastava appena per metterci il letto, un tavolo e una sedia. E lei ci stava giusta giusta. C’era Teresita-la-brasiliana che cantava sempre ninne nanne gentili e lente, fatte di parole dolci come le caramelle. C’era Concepcion, giovane filippina, piccola e delicata, che badava ai fiori del cortile. C’era Mario, il portiere, che s’affacciava dalla finestrella della guardiola che gli faceva da casa. C’erano tutti, insomma.
E c’erano loro. Loro se ne erano già andati, ma sarebbero tornati.
Sono i bambini a capire quello che sta per succedere, così quella notta salirono sull’albero. Con calma, passando da un ramo all’altro, poggiando bene i piedi, tenendosi al tronco. Raggiunsero il centro dell’albero, da dove partivano tutti i rami più grandi e forti. Il tronco era così largo che ti ci potevi sdraiare. Da lassù si vedeva il campo, il prato e Case Basse.
E adesso che si fa? Si aspetta.
Chi? Loro.
Papa Aimé avanzava verso di loro, sandali ai piedi, abito variopinto e un gran foglio tra le mani. Era il progetto del centro commerciale Paradiso, che era stato appeso nell’androne di Case Basse.
Indicò il disegno, le scritte. L’albero non c’era.
Da luogo comune a spazio vissuto
Conoscere e prendersi cura dei luoghi comuni nono è solo una lezione di geografia. La percezione dei luoghi, infatti, si basa sulle sensazioni, sul sentimento di appartenenza e sull’attribuzione di valori all’ambiente, alle persone che lo abitano e ai comportamenti. In questo modo il territorio diventa uno spazio vissuto, e la geografia si trasforma in geografia della percezione.
Sofia, Suleiman, Wilson e Gioconda devono compiere una missione decisiva per salvare il Grande Albero, il loro compagno di giochi e avventure, custode della voce, del cuore, dei sogni e delle speranze di tutti gli abitanti di Case Basse.
Un’umanità che parla lingue diverse, canta canzoni diverse, balla ritmi diversi, ma che trova nell’amore per la terra, per la cultura e per il proprio territorio una lingua universale nella quale riconoscersi e attraverso la quale parlare ad alta voce, rivendicando i propri diritti.