5 libri di brividi e misteri per 8-10 anni da leggere questa estate

24 Luglio 2023 | Guide ai regali

In questa nuova Guida alle letture estive dedicata ai lettori e alle lettrici 8-10 anni parliamo di storie che indagano misteri o fanno venire i brividi.

Storie di lupi mannari, mostri, vampiri o creature paurose esistono da sempre, e da sempre noi li guardiamo con coinvolgimento e un brivido di piacere: come mai?

È il piacere di confrontarsi con l’ignoto senza affrontarlo che esercita un certo fascino, poiché viene depotenziato dalla sua pericolosità. Quando leggiamo un libro sappiamo che quello che stiamo “vedendo” non è reale, benché la storia sia così realistica da farci entrare nei panni del protagonista.

Una specie di “paura controllata” che ci è utile per metterci alla prova ed affrontare le nostre paure, quelle vere e proprie. Per sognare non serve chiudere gli occhi, basta cominciare a leggere una storia.

Ecco l’elenco delle Guide già pubblicate:

Per questa Guida alla lettura dei libri di brividi e misteri abbiamo preparato un segnalibro per lettori e lettrici coraggiosi che ti regaliamo insieme all’acquisto del libro, sia in libreria, che nello shop. Puoi anche scaricarlo qui e stamparlo a casa.

In più, per ogni titolo trovi:

  • Traccia audio da ascoltare;
  • Breve descrizione della trama, dell’ambientazione e dei personaggi principali;
  • Foto dell’interno.

Cominciamo!

La banda della zuppa di piselli. Il segreto di Lina

Di Rieke Patwardan con le illustrazioni di Regina Kehn e la traduzione dal tedesco di Valentina Freschi per Emons

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Vi ricordate di Nils ed Evi? Di come quei due abbiano fondato una banda e di come questa banda avesse il proprio covo a casa dei nonni di Nils, dove la nonna cucinava sempre dei deliziosi pranzetti, di come poi, tutto ad un tratto avesse smesso iniziando ad acquistare ogni giorno barattoli su barattoli di zuppa di piselli e di come, tutto questo avesse a che fare con l’arrivo di Lina, una bambina rifugiata, arrivata in Germania dalla Siria?

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Lo abbiamo scoperto nel primo volume di questa serie, La Banda della zuppa di piselli. Il mistero della nonna. La storia della loro banda ci ha fatto conoscere da vicino la guerra, la paura e le speranze di chi scappa e di chi accoglie in un gioco di indagini ed enigmi da detective. Giocando si può imparare una lingua straniera, si può imparare l’empatia e il rispetto per gli altri, si può imparare ad avere fiducia. Giocando si cresce. E non si dovrebbe mai smettere di giocare.

In questa nuova storia la banda ha un nuovo covo e un nuovo caso: chi è il ragazzo della foto di Lina? Perché Lina si comporta in maniera tanto misteriosa? E perché continua ad arrivare tardi a scuola? Quanti segreti e frasi non dette.

Spiare qualcuno, interrogarlo o seguirlo senza dare nell’occhio sono tutte cose che un vero detective deve saper fare, ma quando si tratta di un amico o di un’amica cambia tutto. Come la mettiamo con la fiducia? Quand’è che arriva il momento di smettere di indagare e si inizia a parlare?

La guerra separa le famiglie, fa perdere le tracce, come il vento alimenta la fiamma, cuori spezzati custodiscono ricordi e mormorano frasi come preghiere, raccomandazioni alla propria anima e a quella dei propri cari, per restare vivi, per non dimenticare, per riabbracciarsi. Alle volte i desideri, soprattutto quelli più brillanti sono anche quelli che più ci spaventano e ci preoccupano.

C’è una bellissima frase di Antoine de Saint-Exupéry: fate in modo che i vostri sogni divorino la vostra vita così che la vita non divori i vostri sogni. Ecco. Il segreto di Lina, è tutto racchiuso qui. Spetta a Nils ed Evi, e anche a voi, riuscire a comprenderlo.

Villa Mannara

di Laura Orsolini pubblicato per la casa editrice Pelledoca.

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Mi chiamo Federico.

Sono alto, biondo, riccio. Tutti dicono che ho dei bei capelli, ma a me non piacciono. Allora li blocco con il gel tenuta extrastrong per farli sembrare dritti. Non li voglio i capelli ricci perché li aveva mio papà che è morto l’anno scorso. Come un cretino. L’hanno investito con una macchina. Non ho più voglia di scrivere, mi metta pure un brutto voto.

È il primo giorno di scuola media. Federico Rossi arriva pedalando una MTB viber rossa con la vipera nera disegnata sulla canna. Era l’ultimo regalo che aveva ricevuto dal padre, qualche giorno prima dell’incidente che gliel’aveva portato via. L’avevano costruita insieme, pezzo dopo pezzo, dalle ruote fino ad ogni singolo ingranaggio. I pomeriggi trascorsi fino a sera nel capanno degli attrezzi, fianco a fianco, erano stati i più belli della sua vita. C’era voluto del tempo, c’era stato qualche piccolo intoppo, ma alla fine ce l’avevano fatta. Ci erano riusciti insieme, per questo quella bicicletta era tanto speciale. Speciale unica, proprio come il suo papà.

Io sono Driss. Quando dico agli altri come mi chiamo, tutti rispondono: «Eh?» e mi chiedono di ripetere. Eppure non è difficile da capire. Driss. Mi chiamo Driss e il mio nome mi piace. Vivo in questo paese da sempre, ma i miei genitori si sono trasferiti qui quindici anni fa dal Marocco. Non ci sono mai stato, in Marocco. Mio padre non ci vuole più tornare, non lo so perché. Ho undici anni, i capelli neri e una bicicletta di seconda mano, quella vecchia di mio fratello, che a sua volta l’aveva presa usata da non so chi, su internet. Mi piacerebbe avere una bicicletta nuova, bianca con le strisce nere o anche di un altro colore. Ma non si può, non girano tanti soldi in casa e bisogna accontentarsi. Mi piace giocare a calcio e leggere, vado sempre in biblioteca e prendo tutti i romanzi che mi ispirano. Scelgo in base alla copertina. Voglio diventare uno scrittore, un giorno. Io sono bravo, imparo in fretta e studio molto. Ce la posso fare e sul mio libro scriverò in alto, in grosso, il mio nome al posto di quello dell’autore. Scriverò gialli. Mi piacciono i misteri. Questo è il primo giorno di scuola delle medie e non mi sta piacendo un granché. Per ora nessuno mi ancora rivolto la parola. Speriamo migliori.

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Le prime due settimane di scuola trascorrono velocemente per Federico e Driss che cominciano ad ambientarsi e a fare amicizia. Driss era l’unico che rivolgeva la parola a Federico. Passavano insieme l’intervallo mangiando cracker e guardando il mondo fuori dalla finestra e i pomeriggi in giro in bicicletta in cerca di campi dove giocare a pallone. Quello più bello l’hanno chiamato Maracanã, come lo stadio più bello del mondo, ma è dall’altra parte dello stradone, in una parte della città che mette i brividi.

Un giorno, proprio mentre stavano scavalcando il muro di cinta della villa al di là del quale era finito il pallone, una luce all’interno della casa si accese. Una donna anziana con i capelli grigi legati in una crocchia sulla testa e gli occhi iniettati di sangue apparve sulla soglia. Guardò attentamente il giardino nella direzione dei due amici, come se avesse percepito la loro presenza. Dopo qualche minuto tornò in casa, raccolse un grosso sacco nero della spazzatura e lo trascinò fuori dalla porta. Poi prese una pala e iniziò a scavare. Raccolse il sacco della spazzatura, che trascinò a fatica sull’orlo e lo fece cadere dentro la fossa.

Era lei. La strega dell’incubo. Federico aveva già visto questa scena e, come allora, era immobilizzato dalla paura, con il cuore che batteva a mille, sudato dalla testa ai piedi.

Tutto frutto della sua fantasia? Forse no. La vecchia stampa locale è piena di articoli di cronaca sulla villa: molti la conoscono come “la casa grigia” o “la casa delle streghe”. Tutto ebbe inizio verso la fine dell’800. Una sera il padrone di casa, rientrando, si trovò di fronte a una scena raccapricciante: la giovane moglie era morta e la figlia scomparsa. A seguito di questo terribile evento lui si suicidò. Tutti coloro che avevano abitato successivamente la villa erano scappati per via degli strani rumori che la notte non lasciavano dormire nessuno. Storie macabre riguardavano anche i dintorni della zona: corpi accoltellati e colpiti furiosamente, delitti irrisolti, ululati agghiaccianti.

Il passato sembra bussare di nuovo alla porta della villa: cosa c’entra ora la sparizione di una vecchia signora di novantadue anni? Chi può aver rapito una vecchia signora? Perché? Ma soprattutto, chi è quella donna? Federico e Driss iniziano le loro indagini segrete, un po’ per gioco, un po’ per curiosità, finché loro stessi vengono rapiti, rinchiusi in una baracca nel fitto della boscaglia mentre fuori la pioggia sferza l’aria di una notte senza luna.

Un mix di terrore e adrenalina, coraggio e timore per una storia che ci tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina, ma che ci fa anche meditare sulla parola fiducia e di quanto sia importante avere un amico sul quale poter contare veramente.

 

Le Grandi storie horror. Nel castello di Dracula

Di Naïma Murail Zimmermann, con le illustrazioni di Caroline Hüe e la traduzione dal francese di Emmanuelle Caillat pubblicato per la casa editrice Gallucci.

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Adam sapeva che tutti lo trovavano strano. E sapeva anche il perché. Ma non era colpa sua se gli piacevano le storie horror. Sofia, sua sorella, continuava a dirgli che per risolvere tutti i suoi problemi doveva soltanto fare un piccolo sforzo e sembrare normale. Non era così difficile, ma Adam non sapeva fingere e comunque non era così sicuro di volere amici che lo avrebbero accettato solo se avesse cambiato gusti o personalità.

Quel giorno era appena uscito da scuola. Si guardò attorno, poi prese la strada di casa cercando di non farsi notare. La zona pedonale del centro città era occupata da un mercatino delle pulci. Non fece caso alle bancarelle finché non passo davanti a quella di una vecchia signora con un vestito a fiori gialli. Portava un largo cappello di paglia calato su un enorme chioma rossa fuoco che le scendeva fino a metà schiena. La donna vendeva libri, ma non libri qualsiasi. Adam non aveva mai visto così tanti libri di paura messi insieme, tranne che nella libreria di camera sua! Incuriosito, Adam allungò la mano per prendere un libro dal titolo scritto a lettere oro su una copertina di pelle nera “Le grandi storie horror”.

Appena fu a casa lo aprì e saltò qualche pagina per arrivare la prima parte, “Gli eroi della paura”. Ma quando voltò pagina per cominciare a leggere, dal volume fuoriuscì una coltre di fumo nero che riempì la stanza attraversandola come un tornado. Poi, all’improvviso, non vide più nulla. D’istinto Adam chiuse gli occhi. E quando li riaprì non era più in camera sua. Si trovava in una stanza molto umida con le pareti il pavimento in pietra. Il volume Le grandi storie horror era scomparso.

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Adam è quel compagno di classe considerato strano e allontanato da tutti. Il suo rifugio sono i libri, la sua passione le storie di paura. Ha letto tutti i classici horror, così, gli sembra di riconoscere il castello nel quale, lui e il suo coniglio Oscar, che nel frattempo è diventato un coniglio parlante, sono stati catapultati. Un castello abbandonato e immenso! Immenso, freddo e buio.

Percorrendo i corridoi si ritrovano davanti a una strettoia che termina su una porta socchiusa. Oltre, un vasto salone con un forte odore di cantina. Decine di casse di legno chiuse erano sparse un po’ ovunque e, in fondo alla stanza, c’era una bara aperta. Conteneva uno spesso strato di terra sul quale era sdraiato un uomo. Aveva i capelli grigi, un furto paio di baffi e la pelle cerea. Stava immobile con gli occhi chiusi, eppure non sembrava morto. Forse addormentato.

Ma chi mai potrebbe dormire in una bara, se non…Sì, avete capito bene, un vampiro! Ma lo stupore di Adam si fa ancora più grande quando davanti ai suoi occhi compare Jonathan Harker, protagonista del romanzo di Bram Stoker, l’uomo che uccideva Dracula! Adam sapeva di trovarsi davanti all’eroe di uno dei più grandi libri horror di tutti i tempi e si sentiva come un fan che incontra il suo attore o cantante preferito. Ma cosa ci faceva intrappolato nel castello? Non è così che doveva andare la storia. Sembra quasi che ci sia lo zampino, anzi la mano, di qualcuno con l’intenzione di riscrivere la storia di Dracula. Adam e Jonathan sono prigionieri e quando calerà la notte le donne vampiro arriveranno a succhiare il loro sangue. Non c’è via di scampo. A meno che non abbiano un piano. E loro ce l’hanno. Oh sì che ce l’hanno.

Per sognare non serve chiudere gli occhi, basta cominciare a leggere una storia e, per fortuna, c’è qualcuno che veglia sui mondi delle storie, sono i Maestri dei libri, e anche tu puoi diventare custode di storie fantastiche. Allora, che dici, apriamo questo libro?

 

Le avventure del giovane Lupin. Caccia al dottor Moustache 

di Marta Palazzesi pubblicato per la casa editrice Salani

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Rubare è sbagliato, dicono tutti.

Non se lo fai per i motivi giusti, dico.

Soprattutto se hai undici anni, vivi in uno degli orfanotrofi più squallidi della città e sei l’unico in grado di scassinare la serratura della dispensa.

Era la notte di Natale del 1886. Io e i miei compagni di sventura, una ventina di bambini tra i quattro e gli undici anni, ci eravamo stesi nelle nostre brandine tormentati dai morsi della fame. Anche quella sera ci era toccata la solita zuppa insipida accompagnata da un pezzo di formaggio duro. Mentre ero rannicchiato sotto la coperta, fantasticavo sui mille modi in cui mi sarebbe piaciuto farla pagare a Madame Générouse, la direttrice dell’orfanotrofio.

Rapido e silenzioso come un gatto, scesi al piano inferiore e attraversai l’atrio dell’orfanotrofio. Una volta in cucina sgattaiolai fino alla dispensa, uno stanzino che la cuoca, la burbera Madame Lipp, chiudeva a chiave tutte le sere. Povera illusa, una serratura non mi avrebbe fermato!

Senza fare rumore chiusi la porta della dispensa, mi voltai e… Un manrovescio mi colpì in pieno viso. Madame Générouse mi gettò a terra e il suo frustino si abbatté sulle mie gambe, lasciandomi due lunghe striature violacee.

«Non azzardarti a muoverti o ti spello vivo!» Poi si rivolse al marito. «Vieni a tenere a bada questo delinquente. Voglio contare i soldi di persona. Sai che non mi fido di quello».

Léon iniziò a scalciare, cercando di liberarsi dalla presa di Monsieur Fraude. «Lupin! Aiutami! Non voglio sparire anche io!»

Madame Générouse lo raggiunse e lo trascinò fuori dalla cucina.

«Lasciatelo» gridai. «Lui non ha fatto niente! È colpa mia! Prendete me!»

Monsieur Fraude mi venne incontro brandendo il frustino della moglie.

«Smettila di fare tutto questo baccano! Arriveranno i gendarmi! Ci farai arrestare!»

Spalancai la porta della dispensa e afferrai un vaso di burro, frantumandolo sulla fronte di Monsieur Fraude. «Aaaah!» Ululò lui cadendo a terra.

Io non persi tempo: corsi fuori dalla cucina per cercare di raggiungere Madame Générouse e Léon, ma erano già usciti in cortile, e la porta di accesso era chiusa a chiave.

Inizia a colpire la piccola finestrella di vetro della porta, attraverso la quale vedevo Madame Générouse parlare con un uomo avvolto da un lungo mantello scuro. Indossava dei guanti bianchi e in testa calzava una tuba lucente. Per un istante, solo per uno, riuscii a scorgere il viso dell’uomo, notando i suoi folti baffi neri. Poi Monsieur Fraude mi afferrò per un braccio, trascinandomi nell’atrio.

Nevicava senza sosta da due giorni. Un gelido strato bianco copriva strade, marciapiedi e palazzi, e aveva trasformato gli alberi in tanti scheletri ghiacciati. Guardai la direttrice con aria di sfida, i pugni chiusi e il mento alto. Poi, senza una parola, uscii dall’orfanotrofio così com’ero, in pigiama, affondando i piedi scalzi nella neve.

Madame Générouse continuando a sorridere, mi chiuse la porta in faccia, convinta di avere vinto, convinta che la fame e il freddo mi avrebbero ucciso entro l’alba.

Si sbagliava.

Gettarmi in strada fu il più grande regalo di Natale che avrebbe potuto farmi. Perché è così che ebbero inizio le mie avventure.

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Parigi diventa la casa del piccolo Lupin, in particolare la Forca, il palazzo più malfamato della città, in una ripida viuzza fiancheggiata da una vigna incolta tra le piazzette di Montmartre. E i suoi abitanti diventano la sua famiglia. Un nugolo di bambini scalzi e vocianti, una veggente, un falsificatore di biglietti teatrali, una giovane coppia di ladri. Ladri, come Lupin. Un ladro per bene. Un ladro che ruba solo ai ricchi e condivide con i poveri.

Per questo Clarisse e Cyrano si rivolgono a lui, perché Cyrille è sparito e l’ispettore Ganimard non ha interesse a indagare, perché alla fine a chi interesse di un domatore e di una gitana?

Nemmeno Lupin all’inizio sembra così interessato, ma un c’è un particolare che non passa inosservato: il rapitore ha lasciato una firma.

Gli incubi di Lupin tornano a galla con l’eco delle parole di Léon in quella notte maledetta: Lupin, aiutami! Non voglio sparire anche io!

Dei baffi neri. Questo voleva dire solo una cosa: il Dottor Moustache era tornato.

Una storia che non piò essere sintetizzata perché deve essere letta, tutta in un fiato: un susseguirsi di azioni, inseguimenti e fughe, omicidi mai svelati, incendi misteriosi, in mezzo a bische clandestine, diamanti sfaccettati, un dipinto della regina Maria Antonietta, una bomba che sta per far saltare in aria la città e uccidere centinaia di innocenti.

 

Il bosco di Bruno

Simona Morani, pubblicato per la casa editrice Giunti

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Io e il “mostro” incrociamo le nostre strade in una rigida notte di marzo del ‘45. Ancora non sapevo che quell’animale selvaggio e bisbetico sarebbe stato la mia unica indesiderata compagnia per molte settimane, ma soprattutto non potevo immaginare che il suo ricordo sarebbe rimasto scolpito nella mia anima per tutta la vita.

Chissà se le cose sarebbero andate diversamente se non l’avessi incontrato. Forse oggi non sarei qui raccontare, ma affinché comprendiate tutta la storia, non posso che iniziare parlando della guerra e di una lunga notte di brividi e gelo.

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Scansato e protetto dei grandi che da quando è orfano lo trattano come una bambola di porcellana, deriso dai piccoli, che gli danno del “mammone”, anche se lui la mamma non ce l’ha più, perché troppo secco, per via delle orecchie a sventola, perché dimostrava meno della sua età. Per togliersi tutti dai piedi Bruno se ne andava lassù, sulla collina.

C’era la guerra, non solo al fronte dove combattevano i soldati, ma negli animi: era nelle parole apprensive sussurrate sottovoce dai grandi, nella morsa invisibile che cingeva la testa e lo stomaco, era nell’amaro in bocca che impediva sorrisi sinceri. La pace Bruno non l’ha mai conosciuta, ma la immagina proprio come la sua collina: come la natura che sonnecchia tranquilla, luminosa, accarezzata da infinite coperte di neve. La immagina come un tempo sospeso. Come quello trascorso nella vecchia legnaia.

Doveva essere una giornata di festa, il matrimonio di Lia, sua sorella, da celebrare senza dare nell’occhio, la famiglia riunita, ma in gran segreto. Invece sono arrivati i tedeschi portando lo scompiglio generale di chi scappa e di chi urla, gli spari in aria. Bruno viene portato in un rifugio sicuro con la promessa di essere recuperato al più presto.

Un tempo sospeso. Rotto dal rumore di un ramo spezzato, dall’ululato delle ombre nere che appaiono e scompaiono in un gioco di strane forme, da un odore pungente e selvatico, dal il rumore di unghie a grattare il pavimento. Lì, a una spanna di distanza, un muso spaventosamente digrignato, un grosso naso nero sporco di fango, denti aguzzi, occhi socchiusi dallo sguardo crudele.

Lo sai di che cosa si tratta? Della paura. La paura che ti fa vedere cosa che non esistono. Oppure di un tasso. Non una terrificante creatura delle tenebre, ma un animale solitario che vaga silenzioso nella radura. Se non digrigna i denti può avere un aspetto quasi simpatico.

La sofferenza più grande per Bruno però è essere tenuto all’oscuro di ciò che succede. Per questo motivo questo racconto è tanto prezioso, perché parla, senza segreti né omissioni, di un lato oscuro della storia recente del nostro paese. Una storia che fa parte dell’album dei ricordi di ogni famiglia, che ha cambiato il modo di vivere, di pensare, di amare di uomini e donne: scegliere di conoscerla e di raccontarla significa rispettare e celebrare il sacrificio di ha conquistato la nostra libertà.

La guerra non sta soltanto nelle pagine dei libri, o nei discorsi politici, non è fatta solo di battaglia tra eserciti opposti a migliaia di chilometri di distanza, ma si insinua anche nella quotidianità delle persone, ed è fatta di piccoli gesti, di scelte personali, di idee espresse a parole o attraverso silenzi. La pace non è solo una parola dolce: è una cosa difficile da conquistare.

Bruno è solo un bambino, ma un bambino è una persona piccola solo per un po’. Poi diventa grande. E per Bruno il momento di diventare grande è arrivato: i tedeschi vogliono distruggere la centrale elettrica. Deve correre veloce, Bruno, avvertire gli altri e metterli in salvo, senza farsi scoprire.

Agire e collaborare: la storia di Bruno ci consegna queste parole. Perché nella vita, in qualunque situazione tu ti posa trovare, c’è sempre qualcosa che tu possa fare per cambiarla, anche quando significa contare sull’aiuto di qualcun altro.

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